Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge in parte raccoglie i dati-denuncia divulgati in più occasioni dai quotidiani nazionali e contenuti nel saggio «Il costo della democrazia» di Cesare Salvi e Massimo Villone (Mondadori, 2005).
      Già il 21 dicembre 2006, la Camera dei deputati ha approvato un ordine del giorno sulla legge finanziaria 2007 (divenuta la legge n. 296 del 2006), a firma Sergio D'Elia (Rosa nel pugno) e Luciano Pettinari (Ulivo), con il parere favorevole del Governo su gran parte di esso, volto a porre rimedio ad alcune previsioni contenute nella stessa legge finanziaria che incidono particolarmente sui costi della politica, che sarebbe più corretto definire «costi dell'anti-democrazia».
      Si tratta di una proposta di legge che tocca solo alcune isole dei costi della politica nel mare magnum di sprechi, privilegi e spese ingiustificabili che rimandano direttamente all'interesse dei partiti di acquisire nuove clientele e consolidare la rete di consenso elettorale.
      Ma l'universo dei tagli possibili e opportuni su aree di inaccettabile spreco e di finanziamento pubblico indiretto dei partiti è assai più vasto. Perché se il finanziamento pubblico ai partiti, tramite l'espediente dei rimborsi elettorali, costa all'erario poco più di 200 milioni di euro all'anno, l'ammontare totale dei costi indiretti

 

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della politica può essere stimato dai 3 ai 4 miliardi di euro, un quarto degli stanziamenti previsti da una legge finanziaria ordinaria. Con questi soldi pubblici si pagano gettoni, stipendi ed emolumenti a un esercito di amministratori locali, manager pubblici, consiglieri e consulenti di istituti, scuole, centri, autorità, commissioni, enti, agenzie, comunità e società miste, non certo - salvo eccezioni - per la loro capacità professionale, le prove offerte sul campo, i risultati conseguiti o l'esigenza effettiva per la vita pubblica delle loro prestazioni, ma solo grazie a sponsorizzazioni politiche e per consolidare ed estendere la rete di potere clientelare dei partiti.
      I costi della politica, oltre a incidere pesantemente sulla struttura della spesa pubblica, costituiscono un fattore decisivo di blocco del sistema Italia, della sua competitività interna e della sua capacità di attrarre investimenti esterni.
      L'obiettivo di liberalizzare e modernizzare il Paese non può essere perseguito (soltanto) attraverso i tagli e gli equilibri di bilancio, ma cercando pulizia amministrativa, efficienza e competitività di sistema.
      Attraverso la riduzione dei costi della politica è possibile anche liberare risorse per il rilancio di obiettivi fondamentali dell'azione di governo come, ad esempio, l'università e la ricerca, il finanziamento degli ammortizzatori sociali e per una migliore cura di funzioni primarie dello Stato, come la sicurezza e, soprattutto, la giustizia, che è divenuta la prima e prioritaria questione sociale del nostro Paese poiché l'Italia è primatista di condanne in Europa da parte della Corte di Strasburgo.
      Con l'articolo 1 della presente proposta di legge si prevede l'introduzione di un tetto generale, riferito alla retribuzione del primo presidente della Corte di cassazione, per tutti gli incarichi pubblici, ivi compresi gli amministratori di società a capitale totalmente o prevalentemente pubblico e gli eletti (la citata legge finanziaria n. 296 del 2006 lo ha già introdotto per altri incarichi pubblici quali dirigenti, consulenti ma con delle eccezioni, membri di commissione o di collegi) ai quali sono invece oggi riconosciuti emolumenti e benefit paragonabili - quando non superiori - ai corrispondenti livelli del settore privato.
      Tale scelta non ha carattere punitivo nei confronti del management pubblico. Si giustifica soprattutto per calmierare un mercato del tutto fittizio, poiché non esiste in realtà competizione tra dirigenza pubblica e privata. Nessuna azienda privata - a meno che non fosse soggetta a insostenibili pressioni politiche - offrirebbe posizioni di rilievo a qualunque manager pubblico, salvo forse poche lodevoli eccezioni.
      Il management pubblico vive in un recinto protetto e opera su un percorso determinato non dalla capacità professionale o dai risultati conseguiti, ma dalle sponsorizzazioni partitiche. E il manager pubblico che lascia l'incarico normalmente passa ad un'altra posizione di management pubblico, senza che abbia alcun rilievo la prova concretamente offerta sul campo.
      Si propone, infine, che tali emolumenti siano preventivamente resi pubblici.
      Con l'articolo 2 si impedisce che gravino a carico delle amministrazioni pubbliche gli oneri derivanti dalla stipula di polizze assicurative per i danni eventualmente arrecati all'ente dagli amministratori, i quali saranno liberi di assicurarsi rispetto al proprio operato, ma a loro spese.
      L'articolo 3 ripristina la responsabilità per colpa lieve davanti alla Corte dei conti.
      Tale forma di responsabilità diretta degli amministratori pubblici è stata soppressa, tra mille polemiche, con la legge 14 gennaio 1994, n. 20, che, unitamente alla rimozione dei limiti e dei controlli sulle attività delle pubbliche amministrazioni, ha favorito lo smarrimento crescente nell'azione politico-amministrativa dei necessari criteri di rigore e di correttezza.
      L'articolo 4 definisce i criteri per la cessazione della partecipazione statale nella Sviluppo Italia Spa e nelle società da questa controllate o partecipate, superando così quanto previsto dalla legge finanziaria n. 296 del 2006, che ne delinea invece un riassetto a partire dal cambio di
 

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denominazione (Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa).
      Sviluppo Italia Spa è forse uno dei casi più eclatanti di spreco di denaro pubblico, anche attraverso il moltiplicarsi delle società controllate e partecipate. Il fallimento della missione originaria è evidente, come pure è indiscutibile la torsione clientelare determinatasi nel tempo. Nonostante l'impegno di ingenti risorse pubbliche, nessuno degli obiettivi che si volevano raggiungere si mostra pienamente realizzato. La fine della partecipazione dello Stato assume il senso di un messaggio fortemente simbolico e segnala, al tempo stesso, la necessità di cambiare rotta per sostenere lo sviluppo, in particolare nelle aree economicamente svantaggiate del nostro Paese.
      All'articolo 5, con le modifiche all'articolo 82 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, si abrogano le norme oggi previste sul gettone di presenza per la partecipazione a consigli e commissioni per i consiglieri comunali, provinciali, circoscrizionali e delle comunità montane, la possibilità attraverso gli statuti e i regolamenti degli enti di prevedere conversioni dei gettoni di presenza in indennità di funzione, con relativi adeguamenti in base agli indici dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), nonché la facoltà di incrementare o diminuire le indennità di funzione e i gettoni di presenza sulla base di delibere della giunta o del consiglio.
      Con l'abrogazione del comma 1 dell'articolo 85 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 276 del 2000, cessa l'equiparazione di trattamento dei rappresentanti degli enti locali nelle associazioni internazionali, nazionali e regionali tra enti locali, a coloro che ricoprono funzioni elettive, e con l'abrogazione dell'articolo 87 tali equiparazioni cessano per i membri dei consigli di amministrazione delle aziende speciali anche consortili.
      Il sistema delle autonomie locali costituisce la fonte principale di spesa pubblica ma anche il luogo dove gli sprechi, i privilegi e i costi della politica assumono livelli giganteschi: si tratta di costi indiretti e impropri, ma che sono espressione diretta e propria del potere dei partiti sulle istituzioni e sulle economie locali.
      La protesta contro la legge finanziaria n. 296 del 2006 da parte degli amministratori regionali e locali è stata particolarmente accesa. È comprensibile che chi amministra non gradisca di trovarsi nella necessità di aumentare la pressione tributaria locale. Ma la protesta sarebbe stata ben più credibile se fosse emerso un significativo ed efficace impegno volto a riportare ordine, rigore e correttezza nell'azione politico-amministrativa.
      Sono quindi stabiliti i criteri con cui si dà la delega al Governo per adottare uno o più decreti legislativi che regolamentino le indennità e i gettoni di presenza per i soggetti chiamati a partecipare alle assemblee elettive.
      Con l'articolo 6 si propone la riduzione dei consigli circoscrizionali dei comuni con popolazione superiore a 300.000 abitanti.
      L'articolo 7 è volto a limitare la costituzione di società miste a partecipazione pubblico-privata da parte di regioni ed enti locali per le sole attività strettamente strumentali alla vita dell'ente o comunque necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali.
      Negli ultimi anni le società miste hanno registrato una straordinaria fortuna, soprattutto nell'ambito del governo regionale e locale. Dall'utile apporto delle risorse e del know-how dei privati all'esercizio di funzioni pubbliche, si è passati a una forma sofisticata di gestione clientelare e partitocratica del consenso. Dalla cura dell'interesse pubblico attraverso l'organizzazione e gli uffici dell'ente locale, eventualmente ricorrendo al mercato per quanto necessario attraverso normali meccanismi di gara, si è passati all'istituzione, invece, di società miste ad hoc.
      Questo implica, da un lato, una utilizzazione meno efficiente delle risorse, una parte delle quali sono dirottate sui costi della struttura da istituire; dall'altro, la gestione clientelare del potere politico-amministrativo, perché gli organi di governo
 

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delle società miste - e i posti di lavoro - sono decisi in base a logiche di «parrocchia» partitica. All'occorrenza, si inventa una nuova società per accontentare tutti i «cespugli» di una coalizione. E, dunque, con le risorse pubbliche si apre la via alla creazione di corpose clientele personali in capo a chi è titolare di un potere politico-amministrativo, o comunque è in grado di incidere sull'esercizio di tale potere.
      Con l'articolo 8 si propone l'abrogazione della norma con cui le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti possono essere integrate da due componenti designati dal consiglio regionale, componenti che acquisiscono lo status equiparato a tutti gli effetti, per la durata dell'incarico, a quello dei consiglieri della Corte dei conti, con oneri finanziari a carico della regione. L'abrogazione di tale norma consente, oltre a risparmi di spesa, il superamento dell'ambigua commistione di controllori e di controllati.
      Infine, con gli articoli dal 9 al 19, si propone la soppressione di diversi enti e autorità, il cui costo elevato non corrisponde ad un utile pubblico significativo.
      Si tratta per lo più di strutture teoricamente riconducibili al modello dell'autorità indipendente rispetto al potere esecutivo, ma che nell'esperienza concreta non hanno risposto alle esigenze di sottrazione alla diretta influenza del decisore politico, della libera concorrenza tra fornitori di beni e servizi e, quindi, di tutela degli interessi del cittadino utente.
      Per il Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA), la Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP), l'Istituto per la promozione industriale (IPI) e il Comitato nazionale italiano per il collegamento tra il Governo italiano e la Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, le funzioni svolte possono utilmente essere riportate alle strutture ministeriali, non risultando evidente un particolare rischio di indebita influenza da parte dell'esecutivo.
      Quanto al Comitato nazionale italiano per il collegamento tra il Governo italiano e la Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, la Corte dei conti, oltre a segnalare il mancato rispetto degli adempimenti formali, in sede di valutazione dell'efficienza e della funzionalità dell'ente, ha prospettato fin dagli anni novanta, ribadendolo finanche nella relazione del 15 dicembre 2006, l'opportunità della sua soppressione in quanto non idoneo alla realizzazione dei fini istituzionali, precisando altresì che tali fini sono perseguibili con minori costi dalle strutture del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.
      Le somme destinate a questo ente, pur di modesta entità in termini di valore assoluto, rappresentano un esempio eclatante di spreco e di mala gestione del denaro pubblico: infatti, dal punto di vista degli adempimenti formali, non risulta mai costituita la giunta esecutiva e i bilanci sono approvati dal Comitato nazionale con uno o due anni di ritardo e, quanto a quello del 2005, non risulta neanche essere stato approvato. Tali bilanci non sono trasmessi al Ministero dell'economia e delle finanze, il quale, peraltro, ha propri rappresentanti nel Comitato nazionale e nel collegio dei sindaci. Le risultanze contabili sono di difficile lettura e analisi, a causa di anomale imputazioni ed errori. L'onere del personale dipendente non emerge, essendo a carico del Ministero. L'inattività dell'ente si evince anche dalla scarsa attività degli organi collegiali esistenti. Ad esempio, il Comitato nazionale, supremo organo di governo dell'ente, nel 2004 non si è mai riunito, mentre si è riunito una sola volta negli anni 2002, 2003 e 2005.
      Quanto alla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, la tutela della trasparenza non si può utilmente garantire in modo centralizzato da parte di un organo indipendente. Se mai, va favorita una tutela diffusa, assicurando celerità all'intervento del giudice amministrativo in sede locale.
      Anche per quanto concerne l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, alle esigenze di controllo in senso proprio possono rispondere
 

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le ordinarie strutture (Ministeri competenti, Consiglio superiore dei lavori pubblici, Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali eccetera). La trasparenza dei contratti pubblici attraverso la loro pubblicazione sul sito web dell'amministrazione può costituire un'ulteriore forma di controllo, mentre la domanda di legalità in senso stretto deve rimanere affidata alla magistratura, ordinaria e contabile.
      Per quanto riguarda, invece, l'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (ISVAP), la scelta del modello dell'autorità indipendente, teoricamente fondata, non ha trovato riscontro nella comune esperienza. L'ISVAP è risultato incapace di tutelare gli interessi dell'utenza ad avere tariffe ragionevoli per le assicurazioni nel settore automobilistico, a fronte del formarsi, come è noto, di veri e propri cartelli da parte delle società del settore. Un caso tipico di cattura del controllante da parte degli interessi controllati.
      Anche se l'ISVAP è finanziato attraverso contributi a carico dei soggetti controllati, il relativo costo grava alla fine, comunque, sui cittadini-utenti, attraverso la determinazione delle tariffe. Quindi, si dimostrano utili la soppressione e il contestuale trasferimento delle relative funzioni all'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Oltre ad evitare superfetazioni e duplicazioni, con il conseguente inevitabile aumento dei costi, si perviene in tal modo alla tutela più efficace degli interessi del cittadino-utente.
      Il sistema clientelare e partitocratico è perpetuato e riaggiornato attraverso una versione tutta italiana dello spoils system.
      Con la citata legge finanziaria n. 296 del 2006 sono state introdotte, ad esempio, norme che fittiziamente cancellano strutture per istituirne parallelamente altre. Per un Istituto nazionale della montagna (IMONT) che viene soppresso, c'è un Ente italiano montagna (EIM) che viene istituito (articolo 1, comma 1279). Per un'Alta Commissione di studi che se ne va, arriva contestualmente una Commissione tecnica per la finanza pubblica (articolo 1, comma 474). Prebende, consulenze e poltrone sono tagliate da una parte, ma gli impegni, le funzioni, il patrimonio e le dotazioni sono trasferiti da un'altra parte, con nuove poltrone da riempire e clientele politiche da soddisfare. Si tratta spesso di enti inutili che vanno solo soppressi.
      In altri casi, non accade nemmeno che il vecchio scompaia a fronte del «nuovo» che si crea, ma accanto al nuovo rimane anche il vecchio. È il caso dell'istituzione dell'Agenzia per la formazione dei dirigenti e dipendenti delle amministrazioni pubbliche - Scuola nazionale della pubblica amministrazione, avvenuta con la citata legge finanziaria n. 296 del 2006 (articolo 1, comma 580), alla quale sono sopravvissuti le precedenti scuole e istituti inquadrati nei rispettivi Ministeri (Istituto diplomatico, Scuola superiore dell'amministrazione dell'interno e Scuola superiore dell'economia e delle finanze). Evidentemente, i Ministri di riferimento sono stati catturati dagli interessi dicasteriali sottostanti.
 

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